L’uomo nel fosso si chiede come ci sia arrivato. Ha il brecciolino nelle mani, un male a un fianco. Si alza sulle ginocchia e considera lo spazio.
È in un fosso. C'è l'erba a fili, è umida non bagnata. Sembra un fosso che costeggia una strada o una mulattiera. Forse più avanti un rospo salta via sdegnato. Non ci sono più i fossi solitari di una volta! Avrà pensato.
Sembra una situazione mica da ridere. Lo dicono le ferite e il brecciolino che brucia nelle escoriazioni sotto la pelle. Lo dice il fatto che proprio non dovrebbe trovarsi un uomo di notte, ginocchioni in un fosso.
Ma quell'uomo sembra felice. guarda un cielo conficcato da mille capocchie di aghi che poi sono stelle che brillano e rimano sulla sua assurda felicità di essere là.
L'uomo che si ritrova per sbaglio nel fosso di quella notte si sente bene. Dentro. E se ne sta lì a guardare e guardarsi unico spettatore di quello spettacolo semplice, campestre e gioioso.
Gli sembra, sembra, che non sappia parlare e che non si ricordi che lingua è la sua e quale quella al di fuori del fosso. Quale quella di tutti gli abitanti del mondo. Forse lui è caduto da una di quelle capocchie luminose su in alto. È un pensiero divertente che però, per fortuna, abbandona subito impossibilitato dalla gioia e dalla situazione a cominciare a costruire sui perchè e percome e perquando. Non vuole fare gli errori degli uomini ora che, chissà come, si ritrova, sembra a essere nato di nuovo o creato di nuovo.
Ora non importa, pensa. Ora non fa più nessuna differenza chi ero e chi mai sarò. Ora nulla che non sia questo fresco di notte d'estate. Può darsi, ma davvero non importa, che prima avevo bisogno di questo e magari non lo sapevo, non l'ho mai saputo e mai considerato. Lo ignoravo! E a chi me l'avesse detto avrei risposto che era un imbecille. Ma non importa e non è egoismo, che a nessuno serve sentirsi dire: avevi ragione tu!
La ragione è il fosso, l'erba e il brecciolino. La ragione è il cielo e il rospo e l'aglio selvatico che genera le stelle nel cielo!
O meglio: nessuna ragione. nessuna... nessuna, tanto non importa!
Perchè ora, ginocchioni, sbrecciolinato, sfiancato e umido si sente bene. Rigenerato.
Curioso. Curioso, si!
Perchè immaginiamoci di svegliarci improvvisamente da una notte profonda, da un abisso buio ed eterno. Immaginiamoci di aprire gli occhi e di non farci troppe domande su cosa abbiamo improvvisamente davanti agli occhi, perchè quel sonno sembrava non dover finire mai, anzi ne eravamo sicuri nell'incoscienza e nell'oblio che comunque mai, se esiste mai, ci saremmo più destati. Perchè sapevamo che non esiste essere desti, non esiste la possibilità e neanche la parola!
Invece all'improvviso, per il big bang o per Darwin o per Dio, gli occhi si aprono.
Catapultati dalla tenebra a un fosso verde e vivo. Estratti dall'inconsistenza al fresco piacevole di una notte serena e piena di stelle. Saremmo curiosi? Si.
Curiosi di quello che abbiamo di fronte e curiosi di noi stessi delle nostre sensazioni, del tatto, dell'olfatto, del fluire del sangue nelle vene.
L'uomo che si ritrova nel fosso si sente proprio curioso e beato.
Non sarebbe stata la camicia bianca con le maniche rovesciate di un giro o due a farlo ritornare a considerare le opportunità del suo essere lì. La camicia non la pensa proprio. Meglio scoprire l'ombra della notte. Le ombre, mille, della notte. Le loro differenze e le loro affinità. I giochi di chiaroscuro. Molto più interessante e chi può dir di no?
L'uomo, che noi sappiamo essere un uomo, perchè lui davvero non lo stava a pensare, curioso si beava delle ombre della notte e del refrigerio leggero di alcuni sospiri di vento e per quale teoria evolutiva o per quale indagine psicologica fosse lì, ancora felice di stare sulle ginocchia e nel fosso, non se ne cura granchè. E quanto è piacevole quel vago bruciore alle mani e quanto è in fondo vita sentir dolere un fianco!
Sa, a dirla tutta, che qualcosa in una qualche dimensione deve essere andata storta. Sa, in una parte ora più inerte del cervello, che nessuno può ritrovarsi di notte in un fosso per caso. Escoriato e in camicia bianca.
Ma sapere è un prodotto dell'esperienza e lui ora non ne aveva nessuna. Dovremmo dire, lanciandoci in misteriose materie universitarie, che quel vago e inascoltato sapere deve essere come una immagine riflessa. Come un sole che lo avrebbe illuminato su un passato prossimo e recente, ma quel sole era ormai tramontato e se ne dovrebbero fare di sforzi per recuperarne l'immagine intera e tutto un indotto su cui, allo stato attuale, si può scommettere se sia buono o pessimo.
Sta di fatto che tutto questo problema, mancava anche solo di un primo enunciato e comunque di tutti i dati. E comunque della volontà di prenderli in esame.
La matematica è un linguaggio complesso e forse rivelatore di una qualche volontà. L'aglio no!
(luglio 2010)
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