giovedì 13 maggio 2010

miricae_12














il male sostenibile.

mercoledì 5 maggio 2010

Giugno










All’improvviso si tirarono giù i veli che coprivano i quadri e tutto ciò che si poteva vedere erano barche, spiagge e mare. L’odore degli stabilimenti era quello inconfondibile del fritto di pesce.

(2002)

Maggio

Qwerty vedeva il mondo proprio come un esperto di informatica: un enorme ammasso di fili, un gomitolone. Ne comprendeva le proprietà comunicative, lo scambio di informazioni. Ma gli sembrava un sistema assai lento, con troppi intoppi; tutto quello che comprendeva non lo vedeva all’atto pratico. Le possibilità. Quante possibilità! Dove sono? Del resto le idee viaggiano a velocità due volte superiore alla realtà. Quest’ultima poi ha un moto del tutto imprevedibile con degli scatti fulminei che non ci si aspetta da una struttura così pachidermica. Lezioni ne aveva tutti i giorni: si può fare tanto, si fa poco. Un susseguirsi di considerazioni contrastanti rendevano deprecabili o illuminate le scelte di un modesto lavoratore che aveva abbandonato le speranze dell’alta società, come quelle del finanziere o manager o geniale imprenditore, come quelle di chi campava di espedienti. Lui era ricchissimo. Era. Rifiutò tutto quello che gli spettava di una grossa eredità. Mal vestito camminava dritto denotando un ottimo portamento e un eleganza naturale e rifletteva sul mondo. Amava i talentuosi, loro avevano il problema risolto, schiavi della loro arte fossero pittori come calciatori. Chi ha talento non ha bisogno dei cavi, comunica da se e viene guardato. Che belli erano i tempi in cui, più giovane suonava il pianoforte e sognava di diventare un musicista. Qualsiasi problema, ricordo, emozione, passione accompagnava le mani e l’animo sulla tastiera e arrivava il conforto della melodia. Si accorse di non avere talento e le note diventarono rumori.

Una sera fu invitato ad una festa. Una bella festa elegante. Una bella casa, si era detto già all’ingresso, confermando l’intuizione poi nei saloni. Jazz morbidissimo, fumi di sigarette e sigari, fumi di alcool e leggere risate avvolgevano gli ospiti rendendoli immobili e dinamici come fanno le atmosfere con le figure nei quadri di Lautrec al Moulin Rouge, nei bar, al circo. Ottimo il cibo, consumato in piedi magari, del resto di persone ce ne erano tante. Così si poteva passare inosservati anche senza parlare con nessuno come Qwerty, forte del suo aspetto privo di ogni caratteristica che potesse risaltare all’occhio nel bene o nel male. Mentre i professionisti ostentavano le proprie professioni in dialoghi professionali catturando folti gruppetti di pubblico astante, attonito, afono e inebetito (fin dalla nascita). Gli artisti convinti e fieri e sicuri sottintendevano le loro qualità per scendere dall’ispirazione a regalare momenti di partecipazione ai miserabili attratti (intanto l’arte veniva alla luce in cucina). Le donne appariscenti creavano fortezze di personalità e virtù senza considerare che gli occhi degli ammiratori già avevano preso la loro parte, bottino da spartire al ritorno a casa accompagnato da colorite e ferali battute. La padrona di casa gioiva di far partecipare tutti gli amici delle sue fortune e per le danze del movimento non si era mai avvicinata con l’orecchio alle feroci parole dell’invidioso che sovvertiva quel sistema di generosità con i suoi discorsi sulla presunta di lei solitudine che la costringeva a questi tipi di appuntamenti. Fuori trequarti di luna guardavano nel lussuoso appartamento quel tipo che si era fissato qualche secondo a posare gli occhi su di lei. Quel tipo che era Qwerty. Passarono un paio di ore e il tipo ricapitato davanti alla finestra non vedeva più la luna oramai nascosta da qualche palazzo stanca di fare baldorie. Noti studi di sociologia riguardo all’appartenenza lo tradirono però e una ragazza ruppe la sua concentrazione.

Non c’era bisogno di chiedere se si divertiva! Si divertiva moltissimo! Anche se lei aveva notato che non parlava con nessuno e che beveva da solo. Fece capire con scrupolosa grazia che andava tutto bene. La ragazza pensò: “Vai a fare del bene a un somaro!”.

Gli invitati sfoltivano qualcuno silenzioso, altri con altisonanti congedi. Un bicchiere di vino in più spinse Qwerty ad accarezzare il pianoforte, un battito di ciglia e stava già suonando Laura di Charlie Parker comunque attento alla pressione delle dita. La padrona di casa gli passò vicino lo accarezzò su una guancia e si allontanò lasciandolo ricadere nel piacere di quella esecuzione di cui peraltro si sarebbe pentito amaramente. Infatti si rifece sotto la ragazza del somaro. Il buio spense i grandi lampadari del salone nella sua testa. In questa denti bianchi sorridevano maligni, inquietantemente capaci di sorprendere una vittima che si muoveva a tastoni sussurandole frasi ricoperte di miele appiccicoso. Non doveva lei così carina di piccola statura, senza trucco, senza orecchini, capace di parlare; no, no, no, lei no. La uccise più tardi. Ma non la baciò neanche. Lo trovò sconveniente. Poco educato.

Vedi l’uomo che creatura prodigiosa! Avrà pensato, quella sera, che quello taciturno era il prezzolato pianista con l’ordine di cominciare a suonare tardi. Finito lì. Al massimo l’artista sarà arrivato alla critica dell’esecuzione. Bocciata sarà tornato ai suoi fans. No la donna va a curiosare. Ed ora Qwerty doveva girare con il portabagagli con due cadaveri.

(2002)

Aprile

Aprile non sempre soddisfa il cittadino con un tiepido abbraccio, ristoro per il rigido e scheletrico inverno. Quella notte però, dopo secchiate di pioggia intensa (viene da pensare che quell’anno Aprile volesse soddisfare il cugino di campagna), era proprio calma, tranquilla, pacifica e sognante; sembrava che la città tentacolare fosse tutta raccolta in una di quelle ampolline di vetro che capovolte lasciano cadere la neve, che capovolte lasciano tuffare in banalissime e buone fiabe. Dove le città hanno due pini, tre strade, quattro lampioni con luce rossa e calda senza neanche una battona. Beh quella notte i lampioni erano caldi e confortevoli e nelle strade di periferia c’era pure chi ci passeggiava sotto, ma nell’ordinato quartiere a due passi dal centro, con le case severe con le facciate pulite, le strade erano ben pattugliate. Chi dorme lì, nelle stanze dagli alti soffitti, si lamenta del crimine che dilaga, ma chi rimane sveglio potrebbe testimoniare della sua solitudine in mezzo a tante forze dell’ordine. Stonava in effetti la presenza inopposta di quegli eserciti. Una bella notte che era da raccontare agli altri che non l’avrebbero creduta: il blu profondo, accennate le stelle, neanche un rumore di veicolo vecchio e malmesso, c’erano solo auto nuove; bello il metallo, il cemento, gli alberi, i lampioni ovviamente, l’ordine e perché no, belle pure le battone. Così un tale si avvolgeva in un metallo rosso per coprirsi da tutte quelle cose così tenere, ma con dei vetri per vederle e con quattro gomme rotonde per muoversi nell’ampollina; senza girarla; la neve non c’entrava proprio niente. Da sotto quel vetro muoveva il naso per accorgersi del movimento e della luce e muoveva il volante per evitare ostacoli e affrontare ciò che celavano. Rosso, fermo; verde, gira e avanti. Si sentiva un uomo ora e protagonista. I negozi chiusi, i semafori lampeggianti. Il vertice del cono in cui il Demiurgo rovesciava i colori, aliti, atomi e altre cianfrusaglie era proprio quella macchina dove noi ora vediamo quello che vedeva. Quel tale che respirava così tanta considerazione e respirava il tempo che stava per dimenticare quello che doveva fare. Anzi non gliene fregava più niente, immerso nel fluido dell’essere nell’essere. Perfetto fino al punto di sentire quel timore che completa il gusto di ogni emozione. Chef sublime. Pensava: fermatemi e vi farò vedere chi sono io veramente e quali pesi porto e dove pendono i miei carichi e quanta pace c’è stasera. Belle divise, bella paletta. Un posto di blocco da imitare, con la volante messa di trequarti ad invitare a farle attenzione, ma senza pressione. Era felice! Lo stavano fermando e sentiva i campanellini lontani spazio e tempo di Babbo Natale. Accompagnavano la sua bocca ad un compiacente sorriso, i suoi occhi a brillare un momento solo per non essere fuori luogo.

“Patente e libretto di circolazione.”

Patente e libretto di circolazione? Quel pupazzo con le lentiggini e l’accento napoletano forte del fatto di essere di coccio con il fischietto dietro ai piedi, diceva proprio quello che era supposto lui dicesse. Il carabiniere prese il documento mentre il tale che ci sta prestando gli occhi frugava nel cruscotto per cercare il libretto. Non lo trovava. Non poteva. Non c’era! Ma la disposizione delle cose era troppo corretta per generare caos lì e Qwerty, il nostro, ne aveva tutta la consapevolezza.
Cambiamo visuale. La prospettiva del pupazzo non gli permetteva certo di vedere le sue lentiggini, così tentava, e ora noi con lui, di avere una sguardo scaltro e di farsi forte di una esperienza tradita dalla sua giovane pelle. Fissò il tizio il momento di classificarlo in quello schedario da ufficio appena aperto che era la sua testa. Qwerty sembrava proprio un tonto con l’occhio pieno di speranza e di rispetto per l’Arma, un pizzico di paura, una serie di scuse pronte e la voglia di essere onesto.
Soggettiva principale “Q”. Intorno tanto silenzio, mite. La radio dell’auto pattuglia richiamò l’attenzione dei militi nei secoli fedeli su un incidente che davvero doveva essere più allettante di quella routine. Non esitarono ad andare a vedere. Il lentigginoso riportò la patente al tale ricordandogli l’uso della cintura di sicurezza con un velato rimprovero.

“Noi dobbiamo andare. Tanto si vede che lei è una brava persona. La cintura…però!”
L’impassibilità è una dote impagabile. Qwerty non si scompose neanche al pensiero che il tale che aveva rubato l’auto non gli avesse lasciato i documenti. Sono cose che capitano.

Del resto i pensieri sono altri. Quelli che ti portano via il tempo, quelli intensi tanto che le cose che accadono sembrano finte o rimediabili. L’amore non c’è. Ci sono però queste creature strane, belle: le donne. I momenti hanno senso con loro. I momenti brevi, brevi, brevi. Tutto il resto è nella ricerca di quei momenti brevi. Solo. Così doveva essere Qwerty da tanto tempo. Perché? Il motivo era nella discrezione, sì lui era discreto. Aveva tante altre colpe però, come la necessità di concentrarsi, le sue manie, le sue follie, le cose a cui teneva, per cui viveva, la sua colpa era la sua vita. Credo che non si scioglierà mai il dubbio se non fosse fascinosa per niente o se lo fosse così tanto che le donne ne avessero paura. Non si scioglierà mai anche per mancanza di volontà del diretto interessato. Quella sera tuttavia era stato con una ragazza ed era felice anche per questo. Di contro considerava deplorevole aver perso tempo con lei così, solo per illudersi di non essere solo. Non c’era niente di particolarmente tremendo nella sua solitudine, era come tutte le altre. Anzi lui spesso non ci faceva neanche caso e quasi ne andava fiero. Andare avanti senza nessuno, con quella infaticabile divoratrice di animi che è la coscienza a premere sull’imboccatura dello stomaco, sullo sterno, a volte sulle tempie, altre nel naso... Sarebbe stato un grande compagno capace come era di attenzioni, affettuosità e con quella giusta dose di creatività. Invece era lì pure lui adagiato nella sua parte di mondo a fare. A fare. Poi che ha avrà avuto da fare?

Aveva sentito la pelle. Aveva sentito suonare il respiro. Aveva ascoltato un’anima vibrare, abbandonare il mondo, lasciarsi alle spalle le afflizioni, dimenticare le immagini viste e accettare l’astrazione che uno come lui, lontano dai prototipi di questo secolo, poteva invitare a provare. Quindi era annegato nel suo stesso profondo. Le corde della sintonia, della sinfonia, delicatamente smettono di oscillare e torna la vista e con lei l’orrore.
L’uccise e la mise nel portabagagli. La odiò con forza e la uccise. L’uccise e con lei l’idea e la povertà di tutte le donne, misere, piccole, senza vergogna. Il male che portavano, si disse, di avere ucciso con lei. La uccise. Ora però era ancora più forte perché era l’esercito stesso che lo aveva riconosciuto essere una brava persona.

(2002)