mercoledì 5 maggio 2010

Maggio

Qwerty vedeva il mondo proprio come un esperto di informatica: un enorme ammasso di fili, un gomitolone. Ne comprendeva le proprietà comunicative, lo scambio di informazioni. Ma gli sembrava un sistema assai lento, con troppi intoppi; tutto quello che comprendeva non lo vedeva all’atto pratico. Le possibilità. Quante possibilità! Dove sono? Del resto le idee viaggiano a velocità due volte superiore alla realtà. Quest’ultima poi ha un moto del tutto imprevedibile con degli scatti fulminei che non ci si aspetta da una struttura così pachidermica. Lezioni ne aveva tutti i giorni: si può fare tanto, si fa poco. Un susseguirsi di considerazioni contrastanti rendevano deprecabili o illuminate le scelte di un modesto lavoratore che aveva abbandonato le speranze dell’alta società, come quelle del finanziere o manager o geniale imprenditore, come quelle di chi campava di espedienti. Lui era ricchissimo. Era. Rifiutò tutto quello che gli spettava di una grossa eredità. Mal vestito camminava dritto denotando un ottimo portamento e un eleganza naturale e rifletteva sul mondo. Amava i talentuosi, loro avevano il problema risolto, schiavi della loro arte fossero pittori come calciatori. Chi ha talento non ha bisogno dei cavi, comunica da se e viene guardato. Che belli erano i tempi in cui, più giovane suonava il pianoforte e sognava di diventare un musicista. Qualsiasi problema, ricordo, emozione, passione accompagnava le mani e l’animo sulla tastiera e arrivava il conforto della melodia. Si accorse di non avere talento e le note diventarono rumori.

Una sera fu invitato ad una festa. Una bella festa elegante. Una bella casa, si era detto già all’ingresso, confermando l’intuizione poi nei saloni. Jazz morbidissimo, fumi di sigarette e sigari, fumi di alcool e leggere risate avvolgevano gli ospiti rendendoli immobili e dinamici come fanno le atmosfere con le figure nei quadri di Lautrec al Moulin Rouge, nei bar, al circo. Ottimo il cibo, consumato in piedi magari, del resto di persone ce ne erano tante. Così si poteva passare inosservati anche senza parlare con nessuno come Qwerty, forte del suo aspetto privo di ogni caratteristica che potesse risaltare all’occhio nel bene o nel male. Mentre i professionisti ostentavano le proprie professioni in dialoghi professionali catturando folti gruppetti di pubblico astante, attonito, afono e inebetito (fin dalla nascita). Gli artisti convinti e fieri e sicuri sottintendevano le loro qualità per scendere dall’ispirazione a regalare momenti di partecipazione ai miserabili attratti (intanto l’arte veniva alla luce in cucina). Le donne appariscenti creavano fortezze di personalità e virtù senza considerare che gli occhi degli ammiratori già avevano preso la loro parte, bottino da spartire al ritorno a casa accompagnato da colorite e ferali battute. La padrona di casa gioiva di far partecipare tutti gli amici delle sue fortune e per le danze del movimento non si era mai avvicinata con l’orecchio alle feroci parole dell’invidioso che sovvertiva quel sistema di generosità con i suoi discorsi sulla presunta di lei solitudine che la costringeva a questi tipi di appuntamenti. Fuori trequarti di luna guardavano nel lussuoso appartamento quel tipo che si era fissato qualche secondo a posare gli occhi su di lei. Quel tipo che era Qwerty. Passarono un paio di ore e il tipo ricapitato davanti alla finestra non vedeva più la luna oramai nascosta da qualche palazzo stanca di fare baldorie. Noti studi di sociologia riguardo all’appartenenza lo tradirono però e una ragazza ruppe la sua concentrazione.

Non c’era bisogno di chiedere se si divertiva! Si divertiva moltissimo! Anche se lei aveva notato che non parlava con nessuno e che beveva da solo. Fece capire con scrupolosa grazia che andava tutto bene. La ragazza pensò: “Vai a fare del bene a un somaro!”.

Gli invitati sfoltivano qualcuno silenzioso, altri con altisonanti congedi. Un bicchiere di vino in più spinse Qwerty ad accarezzare il pianoforte, un battito di ciglia e stava già suonando Laura di Charlie Parker comunque attento alla pressione delle dita. La padrona di casa gli passò vicino lo accarezzò su una guancia e si allontanò lasciandolo ricadere nel piacere di quella esecuzione di cui peraltro si sarebbe pentito amaramente. Infatti si rifece sotto la ragazza del somaro. Il buio spense i grandi lampadari del salone nella sua testa. In questa denti bianchi sorridevano maligni, inquietantemente capaci di sorprendere una vittima che si muoveva a tastoni sussurandole frasi ricoperte di miele appiccicoso. Non doveva lei così carina di piccola statura, senza trucco, senza orecchini, capace di parlare; no, no, no, lei no. La uccise più tardi. Ma non la baciò neanche. Lo trovò sconveniente. Poco educato.

Vedi l’uomo che creatura prodigiosa! Avrà pensato, quella sera, che quello taciturno era il prezzolato pianista con l’ordine di cominciare a suonare tardi. Finito lì. Al massimo l’artista sarà arrivato alla critica dell’esecuzione. Bocciata sarà tornato ai suoi fans. No la donna va a curiosare. Ed ora Qwerty doveva girare con il portabagagli con due cadaveri.

(2002)

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