lunedì 8 novembre 2010
L'appeso penzola
L’amico penzolava dall’albero, appeso per il collo. Io lo seguivo con la testa come a una partita di tennis, scioccamente e sportivamente. Il cavallo doveva essere partito con troppa foga e questo aveva provocato quel macabro e ludico movimento. L’inerzia aveva fatto il resto e noi aspettavamo che le oscillazioni si fermassero, sperando che ciò non accadesse perchè quello sarebbe stato il momento di sciogliere la riunione e di tornare a una vita normale e quotidiana. Ragionavo sul tempo scandito da quel corpo ormai esanime, il tempo che era finalmente vivo a causa di un morto e per la ragione che quella morte, eseguita in quei termini, rendeva la giornata diversa e perciò gradevole a me e a tutti gli altri cittadini di Hillbilliesbrough. E ragionavo sul non tempo che era poi tutta la vita prima e, probabilmente, dopo l’impiccagione di Rufus Elias, tutta la vita a seguire. Non sarebbe infatti cambiato nulla. Un altro Rufus sarebbe giunto prima o poi a depredare e stuprare e impaurire tutta la comunità, così come era favorevole l’ubicazione della nostra cittadina a raccogliere delinquenti e a difenderli da un intervento di una qualsiasi autorità. Già perché la legge a Hillbillies era nascosta dietro alla stella dello sceriffo Grant, un ubriacone settantenne dedito a ogni vizio. Non una cattiva persona, ma davvero inadatto al mestiere. Il vecchio Grant! Aveva il naso rosso e tentava inutilmente di reggersi in piedi anche quel giorno e mi era parso contorcersi in una smorfia di dolore mentre la corda si stringeva attorno al collo di Rufus. A questo punto arrivava il suo coraggio. Lui era il più imbambolato di tutti quel giorno, ma credo fosse l’unico a desiderare che tutto finisse per andare a scolarsi finalmente un cicchetto. Perché Don Douglas, il proprietario del saloon era lì anche lui a godersi il fatto e non avrebbe riaperto fino alla sepoltura di Rufus, arrabbiato com’era per tutte le angherie che aveva dovuto subire da quel pendaglio da forca.
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