sabato 20 febbraio 2010

vinicio vessato

2002
“Buongiorno signor Faciero.”
“Buongiorno e buona passeggiata.”
Vinicio si era alzato presto. Lo zaino con i libri dell’università era pronto dalla sera prima. Prima di uscire si era sincerato di avere tutto: documenti, chiavi, sigarette, soldi, cellulare e tesserino. La madre lo aveva illuso chiedendogli se voleva il caffè. Aveva risposto di sì e poi aveva dovuto constatare che era del giorno prima riscaldato al microonde. Che porcheria! Del resto era meglio berlo, dicono che svegli. La mattina soffriva di bassa pressione, conveniva che mangiasse qualcosa, ma la sua pancia era pronunciata e allora spesso decideva di tenersi il suo pallore, la vista abbassata e la debolezza. La notte dormiva male. Si alzava e si rigirava nella camera senza accendere la luce tanto la settimana enigmistica era già passata per le mani del padre, della madre, delle sorelle e della nonna: finita. Aveva un libro sul comodino acconcio a queste situazioni, solo che leggere assonnati e stanchi è inutile. Non ricordava mai cosa aveva letto e ricominciava da capo ogni notte. Il sonno gli era difficile a causa di alcuni problemi respiratori congeniti che nelle notti migliori lo facevano tossire e starnutire. Cercava di farlo in silenzio perché spesso in quella casa si erano lamentati dei rumori notturni che produceva. Certe volte si destava quando era quasi giorno. La sua finestra dava su un bel cortile alberato. Gli uccellini pigolavano e cinguettavano come in uno zoo, anzi qualche volta avrebbe potuto giurare di aver sentito delle scimmie impedirgli di riprendere sonno. Altre volte non tentava proprio, rimaneva sveglio, sdraiato e pensava. Pensava… Pensava alle sue evasioni. Un inguaribile ottimismo o forse un senso di rinuncia, gli lasciavano percorrere l’esistenza.

Salì sul motorino che non si accendeva mai al primo tentativo e ripensava al senso delle parole del suo vicino. Il signor Faciero usciva sempre presto la mattina. Accendeva la macchina e la lasciava sgasare per una decina di minuti nel garage. Si accertava però prima che la porta che dava sulle scale del palazzo fosse aperta. Si poteva così apprezzare l’infiammabilità del diesel e le sue esalazioni già aprendo la porta di casa al quarto piano. Con un bel respirone appena alzati già era chiaro l’andamento della giornata. Ma non contento l’inquinatore precedeva tutti nel prendere l’ascensore e qui fumava una pregiata sigaretta dei monopoli di stato scendendo negli inferi sulfurei e asfissianti del benzene.

Buona passeggiata non era così il modo migliore di salutare uno che avrebbe dovuto affrontare il traffico invalicabile e perpetuo di una città viziata da sensi unici che lo avrebbero portato, avvolto nello smog, lontano dalla meta. Allora con coraggio avrebbe dovuto trovare la strada con buche, lavori in corso, tamponamenti e passaggi sui marciapiedi per conquistare l’Università. Lì oltretutto le cose non gli andavano molto bene. Aveva decisamente preso un corso che non gli era congeniale, la vita è un intrico di errori! Nasciamo tutti perfetti e fino alla fine intacchiamo la tabula rasa credendo di limitare i danni, ma peggiorando inevitabilmente. Non certo la scuola, che dovrebbe avere il coraggio di abbandonare questo indegno nome, poteva aiutarlo nella scelta della facoltà, ma soprattutto il rispetto dei genitori pesò nell’indirizzarlo su quello che loro ritenevano giusto. Inutile dire che quando si accorsero che le cose andavano male lo accusarono di avere poco carattere. Ovviamente divenne il campione preferito delle statistiche dei benpensanti. L’adorabile parcheggiato, numero un milionemille e tanti che vive ancora con la mamma, capro espiatorio delle lamentele dei docenti, dei genitori, dei raccomandati, dei giornalisti socialmente impegnati, dei politici …

Al quarto tentativo il motorino partì. Si aprirono, però subito due occhietti uno giallo e uno rosso a salutarlo: benzina e olio erano finiti. Salì la rampa del garage con un leggero senso di sconforto, fece trecento metri poi il mezzo si fermò. Il primo benzinaio non era proprio vicino e spingere in quel luglio da trentadue all’ombra non era piacevole. Dopo aver rischiato di essere investito e un paio di pause a riprendere fiato, si trovò a constatare che la benzina aveva avuto un nuovo aumento. Frugò nelle tasche: tremila lire. Solidali con gli automobilisti i benzinai deprecavano quell’inarrestabile crescita di prezzo della loro merce e quindi scioperavano irritati. Vinicio si sedette sulla sella del suo assetato cavallo e aspettò le macchine che avrebbero potuto usufruire del self-service.
“Scusi, mi da tremila delle sue dieci gliele pago?”
“No.”

La domanda la fece più volte fino all’arrivo di una tremante vecchietta che si rivelò disponibile. Intanto aveva perso la prima ora di lezione e i soldi per il cappuccino. Le porse i soldi e per ricambiare la cortesia si applicò all’erogatore. La vettura copriva la colonnina con i display così si fidò degli “ancora” dell’anziana gentile.
“Basta, grazie.”
L’auto partì e Vinicio si accorse delle rimanenti duecento lire. La vecchina in fuga si girò e accompagnò al gesto dell’ombrello un sonoro: “Drogato!”
Rimase alcuni minuti immobile con la bocca aperta e il tubo in mano. Lo ridestò la fine del tempo disponibile per erogare la benzina residua.

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