mercoledì 5 maggio 2010

Aprile

Aprile non sempre soddisfa il cittadino con un tiepido abbraccio, ristoro per il rigido e scheletrico inverno. Quella notte però, dopo secchiate di pioggia intensa (viene da pensare che quell’anno Aprile volesse soddisfare il cugino di campagna), era proprio calma, tranquilla, pacifica e sognante; sembrava che la città tentacolare fosse tutta raccolta in una di quelle ampolline di vetro che capovolte lasciano cadere la neve, che capovolte lasciano tuffare in banalissime e buone fiabe. Dove le città hanno due pini, tre strade, quattro lampioni con luce rossa e calda senza neanche una battona. Beh quella notte i lampioni erano caldi e confortevoli e nelle strade di periferia c’era pure chi ci passeggiava sotto, ma nell’ordinato quartiere a due passi dal centro, con le case severe con le facciate pulite, le strade erano ben pattugliate. Chi dorme lì, nelle stanze dagli alti soffitti, si lamenta del crimine che dilaga, ma chi rimane sveglio potrebbe testimoniare della sua solitudine in mezzo a tante forze dell’ordine. Stonava in effetti la presenza inopposta di quegli eserciti. Una bella notte che era da raccontare agli altri che non l’avrebbero creduta: il blu profondo, accennate le stelle, neanche un rumore di veicolo vecchio e malmesso, c’erano solo auto nuove; bello il metallo, il cemento, gli alberi, i lampioni ovviamente, l’ordine e perché no, belle pure le battone. Così un tale si avvolgeva in un metallo rosso per coprirsi da tutte quelle cose così tenere, ma con dei vetri per vederle e con quattro gomme rotonde per muoversi nell’ampollina; senza girarla; la neve non c’entrava proprio niente. Da sotto quel vetro muoveva il naso per accorgersi del movimento e della luce e muoveva il volante per evitare ostacoli e affrontare ciò che celavano. Rosso, fermo; verde, gira e avanti. Si sentiva un uomo ora e protagonista. I negozi chiusi, i semafori lampeggianti. Il vertice del cono in cui il Demiurgo rovesciava i colori, aliti, atomi e altre cianfrusaglie era proprio quella macchina dove noi ora vediamo quello che vedeva. Quel tale che respirava così tanta considerazione e respirava il tempo che stava per dimenticare quello che doveva fare. Anzi non gliene fregava più niente, immerso nel fluido dell’essere nell’essere. Perfetto fino al punto di sentire quel timore che completa il gusto di ogni emozione. Chef sublime. Pensava: fermatemi e vi farò vedere chi sono io veramente e quali pesi porto e dove pendono i miei carichi e quanta pace c’è stasera. Belle divise, bella paletta. Un posto di blocco da imitare, con la volante messa di trequarti ad invitare a farle attenzione, ma senza pressione. Era felice! Lo stavano fermando e sentiva i campanellini lontani spazio e tempo di Babbo Natale. Accompagnavano la sua bocca ad un compiacente sorriso, i suoi occhi a brillare un momento solo per non essere fuori luogo.

“Patente e libretto di circolazione.”

Patente e libretto di circolazione? Quel pupazzo con le lentiggini e l’accento napoletano forte del fatto di essere di coccio con il fischietto dietro ai piedi, diceva proprio quello che era supposto lui dicesse. Il carabiniere prese il documento mentre il tale che ci sta prestando gli occhi frugava nel cruscotto per cercare il libretto. Non lo trovava. Non poteva. Non c’era! Ma la disposizione delle cose era troppo corretta per generare caos lì e Qwerty, il nostro, ne aveva tutta la consapevolezza.
Cambiamo visuale. La prospettiva del pupazzo non gli permetteva certo di vedere le sue lentiggini, così tentava, e ora noi con lui, di avere una sguardo scaltro e di farsi forte di una esperienza tradita dalla sua giovane pelle. Fissò il tizio il momento di classificarlo in quello schedario da ufficio appena aperto che era la sua testa. Qwerty sembrava proprio un tonto con l’occhio pieno di speranza e di rispetto per l’Arma, un pizzico di paura, una serie di scuse pronte e la voglia di essere onesto.
Soggettiva principale “Q”. Intorno tanto silenzio, mite. La radio dell’auto pattuglia richiamò l’attenzione dei militi nei secoli fedeli su un incidente che davvero doveva essere più allettante di quella routine. Non esitarono ad andare a vedere. Il lentigginoso riportò la patente al tale ricordandogli l’uso della cintura di sicurezza con un velato rimprovero.

“Noi dobbiamo andare. Tanto si vede che lei è una brava persona. La cintura…però!”
L’impassibilità è una dote impagabile. Qwerty non si scompose neanche al pensiero che il tale che aveva rubato l’auto non gli avesse lasciato i documenti. Sono cose che capitano.

Del resto i pensieri sono altri. Quelli che ti portano via il tempo, quelli intensi tanto che le cose che accadono sembrano finte o rimediabili. L’amore non c’è. Ci sono però queste creature strane, belle: le donne. I momenti hanno senso con loro. I momenti brevi, brevi, brevi. Tutto il resto è nella ricerca di quei momenti brevi. Solo. Così doveva essere Qwerty da tanto tempo. Perché? Il motivo era nella discrezione, sì lui era discreto. Aveva tante altre colpe però, come la necessità di concentrarsi, le sue manie, le sue follie, le cose a cui teneva, per cui viveva, la sua colpa era la sua vita. Credo che non si scioglierà mai il dubbio se non fosse fascinosa per niente o se lo fosse così tanto che le donne ne avessero paura. Non si scioglierà mai anche per mancanza di volontà del diretto interessato. Quella sera tuttavia era stato con una ragazza ed era felice anche per questo. Di contro considerava deplorevole aver perso tempo con lei così, solo per illudersi di non essere solo. Non c’era niente di particolarmente tremendo nella sua solitudine, era come tutte le altre. Anzi lui spesso non ci faceva neanche caso e quasi ne andava fiero. Andare avanti senza nessuno, con quella infaticabile divoratrice di animi che è la coscienza a premere sull’imboccatura dello stomaco, sullo sterno, a volte sulle tempie, altre nel naso... Sarebbe stato un grande compagno capace come era di attenzioni, affettuosità e con quella giusta dose di creatività. Invece era lì pure lui adagiato nella sua parte di mondo a fare. A fare. Poi che ha avrà avuto da fare?

Aveva sentito la pelle. Aveva sentito suonare il respiro. Aveva ascoltato un’anima vibrare, abbandonare il mondo, lasciarsi alle spalle le afflizioni, dimenticare le immagini viste e accettare l’astrazione che uno come lui, lontano dai prototipi di questo secolo, poteva invitare a provare. Quindi era annegato nel suo stesso profondo. Le corde della sintonia, della sinfonia, delicatamente smettono di oscillare e torna la vista e con lei l’orrore.
L’uccise e la mise nel portabagagli. La odiò con forza e la uccise. L’uccise e con lei l’idea e la povertà di tutte le donne, misere, piccole, senza vergogna. Il male che portavano, si disse, di avere ucciso con lei. La uccise. Ora però era ancora più forte perché era l’esercito stesso che lo aveva riconosciuto essere una brava persona.

(2002)

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